Al via la riforma delle norme sulla gestione della crisi e del sovraindebitamento.
Il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza predisposto dal Ministro Bonafede sostituirà l’attuale Legge Fallimentare contenuta nel Regio Decreto del 1942 e la Legge 3/2012 sul Sovraindebitamento del debitore civile, questa più recente, ma con numerosi elementi di criticità per la sua applicazione.
Non si tratta della usuale novellazione della norma fallimentare vista negli ultimi interventi del legislatore, ma piuttosto di una riforma organica dell’intera materia che entrerà in vigore in vari step, il primo dei quali è il 16 marzo 2019.
L’art. 1 del CCI prevede che “il codice disciplina le situazioni di crisi o di insolvenza del debitore, sia esso consumatore, professionista o imprenditore, che eserciti, anche non ai fini di lucro, un’attività commerciale, industriale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli Enti qualificati pubblici dalla legge”.
In pratica la nuova disciplina si applica a tutti i “debitori” con un procedimento unitario.
La riforma non riguarda le leggi speciali in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese e la liquidazione coatta amministrativa speciale o ordinaria secondo le indicazioni del CCI (sezione Lca).
Un aspetto fortemente innovativo nella nuova norma è la scomparsa, anche nelle disposizioni penali, del concetto di “fallimento”, sostituito con quello di “liquidazione giudiziale” (procedura che conserva nella sostanza le caratteristiche essenziali di quella fallimentare).
Scompare anche il termine “fallito“, come peraltro già accade in Francia, Germania e Spagna, in quanto tale espressione si accompagna spesso alla stigmatizzazione sociale e al discredito anche personale conseguente all’esito imprenditoriale sfortunato.